Trasferimento del lavoratore: in cosa consiste e quando e’ legittimo? Quando si parla di trasferimento dei dipendenti, si fa riferimento ad un provvedimento adottato dal datore di lavoro, attraverso il quale quest’ultimo dispone lo spostamento definitivo del dipendente da una sede all’altra della stessa azienda. Il trasferimento riguarda dunque non le mansioni attribuite, ma il luogo ove le stesse vengono svolte. È regolato dall’art. 2103 c.c., il quale stabilisce che possa essere effettuato solo in presenza di “comprovate ragioni tecniche organizzative o produttive”. A ciò si aggiungano le condizioni specifiche dettate dalla contrattazione collettiva che può fornire ulteriori indicazioni circa le condizioni di legittimità del trasferimento (limiti ad alcune categorie di lavoratori, preavviso, ecc). In mancanza di “comprovate ragioni tecniche, organizzative e produttive”, il trasferimento è illegittimo e può essere annullato dal giudice del lavoro. La Cassazione ha ricompreso nelle esigenze tecniche, organizzative e produttive, di cui all’art. 2103 codice civile, anche la incompatibilità aziendale, “trovando la sua ragione nello stato di disorganizzazione e disfunzione dell’unità produttiva” (Cassazione, ordinanza n. 27226/2018). È stato infatti ritenuto legittimo il trasferimento del lavoratore disposto per risolvere la conflittualità sorta con altra dipendente. Diversamente non è legittimo se motivato da ragioni punitive e/o disciplinari. In ogni caso il controllo giurisdizionale sulle ragioni che legittimano il trasferimento del lavoratore subordinato, non può spingersi fino a valutarne il merito o l’opportunità, in ragione del fatto che ciò trova un preciso limite nel principio di libertà di iniziativa economica espresso dall’art. 41 Cost. Ciò che la normativa sul trasferimento dei dipendenti intende tutelare, è ovviamente la posizione del lavoratore, a fronte del potere “unilaterale” del datore di lavoro di modificare il luogo della prestazione lavorativa. Il lavoratore che intenda impugnare il trasferimento di lavoro, deve procedere mediante qualunque tipo di atto scritto, anche extragiudiziale, purchè idoneo a rendere inequivocabilmente nota la sua volontà di opporvisi, a pena di decadenza, entro 60 giorni dalla ricezione della comunicazione (impugnazione cd “stragiudiziale” ex art. 6, co. 1, L. n. 604/1966) e nel successivo termine di 180 giorni, con deposito del ricorso in Tribunale ex art. 414 cod. proc. civ. , o, alternativamente, con la richiesta di conciliazione (art. 6, co. 2, L. n. 604/1966).